Avete mai sentito
parlare del sonno bifasico? Come suggerisce la parola stessa, si tratta di un
qualcosa di duplice, nello specifico di due momenti di riposo. Nell’antichità non
si dormivano quelle 7 o 8 ore di fila come siamo abituati a fare noi, si
raggiungeva lo stesso quantitativo di ore di riposo dormendo due volte al
giorno.
A fare questa scoperta è stato un professore universitario di storia della
Virginia Tech negli Stati Uniti: Roger Ekirch, questo il suo nome, ha descritto
ampiamente nel libro “At Day’s Close: Night in Times Past” il frutto delle sue
ricerche quindicennali in merito proprio allo schema del sonno dei nostri
predecessori. Il testo, che è stato tradotto con il titolo “Quando il giorno
finisce: la storia della notte”, contiene oltre 500 riferimenti tratti da
manuali di medicina, diari, libri ed altro materiale reperito un po’ ovunque
nel mondo.
Pare che in passato i nostri antenati andassero a letto circa due ore dopo il tramonto e dormissero per quasi 4 ore. Al risveglio, in piena notte, rimanevano svegli un paio d’ore per poi riprendere il sonno fino all’alba. A conti fatti, i popoli come i romani per esempio, dormivano più di 8 ore, infatti mentre il loro primo sonno durava sempre 4 ore o poco più, il secondo sonno poteva durare anche 6 ore. Tuttavia, come capita anche a noi oggi, vi erano poi soggetti che non seguivano proprio questo schema e si coricavano dunque ben oltre le due ore successive al tramonto. Ancora, chi andava a letto dopo la mezzanotte faceva una tirata unica e non si svegliava fino all’alba.
Vi state chiedendo a che
cosa serviva quest’interruzione del sonno, ma soprattutto come veniva impiegato
questo tempo? Bene, sappiate che le persone erano solite fare un po’ di tutto,
ognuno faceva ciò che voleva, quindi vi era chi rimaneva a parlare steso a
letto, chi leggeva, chi si sedeva intorno al fuoco, chi pregava e, ancora, chi
faceva visita ai vicini per scambiare un po’ di uova e latte.
Ad usare queste ore tra il primo ed il secondo sonno per pregare in epoca
medievale erano soprattutto i monaci benedettini. Essi si coricavano intorno
alle 19 e si svegliavano verso le 2 di notte per recitare le loro preghiere e
molto spesso aspettavano il sorgere del sole senza tornare a dormire. Per
recuperare le energie facevano poi un sonnellino di un paio di ore durante la
giornata.
In ogni caso è emerso che in passato le ore centrali della notte, cioè quelle
comprese tra i due sonni, erano insolitamente calme, caratterizzate cioè da un
grande senso di pacatezza, simile alla meditazione.
A partire dal XVII secolo però, con l’avvento dell’illuminazione notturna in grandi città come Parigi, Londra, ma anche Amsterdam, le abitudini del sonno cominciano a subire delle variazioni. Le strade iniziarono ad essere illuminate con lampade ad olio coperte da involucri di vetro e in alcuni casi con candele e questo rese le notti vivibili, quindi rappresentavano delle occasioni per uscire, divertirsi e socializzare. Ecco che l’ora di andare a letto si spostò più avanti e i due cicli di sonno si unirono in una sessione unica di sonno di una durata complessiva più breve. Si parla infatti di un arco temporale di 6/8 ore per notte.